Nuovo concetto di lifestyle esistente già dai “lontani” Anni ’60 nel Nord Europa, ma poco nel resto del mondo, negli ultimi anni il cosiddetto co-housing ha riconquistato campo, complici anche gli appena passati periodi di lockdown ed isolamento.

Il termine vero e proprio è stato fondato da Grace H. Kim ed il marito Mike Mariano, fondatori di Schemata Workshop, studio di architettura con sede a Seattle, che si propone come prerogativa quella di rafforzare i legami tra persone e comunità.

, CO-HOUSING: LA NUOVA FRONTIERA DEL LIVING
Il Team di SCHEMATA WORKSHOP

Kim vuole combattere la Loneliness (solitudine, ndr), come lei stessa l’ha definita in un Ted Talk del 2017, condizione dell’epoca contemporanea che porta tutti noi, chi più chi meno, ad estraniarsi dai rapporti sociali e dal senso di comunità; condizione, poi, accentuata nel recente passato dai lockdown e dalle restrizioni causate dal virus Covid-19.

IL CO-HOUSING “IN PRATICA”

Come funziona quindi nuova formula dell’abitare? In maniera molto semplice. L’elemento distintivo è di creare soluzioni abitative condivise, in cui vi siano aree comuni per l’incontro tra i vari residenti, così da creare una realtà comunitaria e non un grigio ammasso di appartamenti anonimi abitati da famiglie mononucleari.

A partire da un gruppo iniziale di 3 o 6 famiglie disposte ad aprirsi ad una rete collaborativa, si porta avanti un progetto “a piramide” coinvolgendo altri membri, tramite un processo di selezione che permetta di individuare persone affini, ma allo stesso tempo aperte a nuovi orizzonti.

Esistono diverse realtà di co-abitazione contemporanea: da “semplici” condomini disposti di aree comuni in cui interagire con gli altri residenti, a realtà più complesse, che si occupano di accogliere le famiglie meno agiate oppure di promuovere delle “tribù”, dove ogni individuo, ad esempio in periodi di conflitto con i propri parenti, può decidere di abitare momentaneamente in appartamento con un altro nucleo familiare oppure giovani adolescenti decidano di vivere in modo “autonomamente controllato”: nello stesso edificio dei genitori, ma con l’autonomia della vita e gestione di un proprio appartamento.

IL SUCCESSO DEL CO-HOUSING NEL MONDO

Tra i progetti di maggior rilevanza troviamo Oneul, un co-housing Coreano basato sul sopracitato concetto di tribù: in questo luogo le case non sono divise per famiglie, ma i ragazzi adolescenti possono scegliere di vivere con altri adulti che non siano genitori, rimanendo comunque negli stessi ambienti, contribuendo così ad aprire i propri orizzonti alla crescita.

Foster House e Bridge Meadows, invece, hanno una missione più assistenziale e si occupano di ospitare famiglie con bambini in affidamento, oppure anziani soli ed indigenti, creando comunità che possano “farsi forza” l’un l’altra.

, CO-HOUSING: LA NUOVA FRONTIERA DEL LIVING
251 1st Street Brooklyn Residences

Infine troviamo progetti più basic, votati al semplice ampliamento delle reti sociali condominiali: è questo il caso, ad esempio del complesso residenziale 251 1st Street a Brooklyn, il quale propone spazi comunitari come una biblioteca, una sala yoga od addirittura una sala di toelettatura per animali.

Voi cosa ne pensate di questa visione futuristica abitativa? Può porsi tra le possibili soluzioni per riparare ai “danni” riportati dall’evoluzione della società contemporanea e dalla recente pandemia?

Fatecelo sapere nei commenti oppure sui vostri canali social utilizzando l’hashtag #IlGustonauta o sul nostro profilo ufficiale IlGustonauta.